Era già noto, ma fa danni come se fosse sconosciuto.
Parliamo di Petya, il ransomware che imita in tutto e per tutto il suo modello Wannacry ma che, a quanto pare, non è da meno negli effetti devastanti: probabilmente originato in territorio russo e non a caso portato nuovamente all’onore delle cronache dall’agenzia di stampa locale Tass, Petya disattiva il funzionamento del device colpito e impone in cambio del ripristino del sistema un riscatto in bitcoin di 300 dollari.
Nelle ultime ore tracce del malware sono state individuate in Danimarca, Ucraina e Gran Bretagna, con una diffusione a macchia d’olio in tutta Europa.
Nel dettaglio, i primi a gridare l’allarme sono stati i responsabili informatici della compagnia di navigazione danese Maersk, seguiti a ruota dal colosso petrolifero russo Rosneft, dall’azienda pubblicitaria britannica Wpp e dall’impresa edile francese Saint Gobain; poi l’Ucraina, dove Petya ha fatto danni per miliardi di euro. Ne sono rimaste vittime, infatti, la banca nazionale, la rete di negozi Auchan, il sistema metropolitano e quello aeroportuale e addirittura la centrale nucleare di Chernobyl, dove il ransomware ha parzialmente bloccato i sistemi di monitoraggio dei livelli di radiazione.