Sapevamo che prima o poi il problema sarebbe venuto a galla. Ma non pensavamo certo in maniera così eclatante. Ѐ notizia di qualche giorno fa, infatti, che un ingegnere di Google, tale Nick Starr, a passeggio per le vie di Seattle per testare l’efficacia dei famigerati Google Glass, è stato scacciato in malo modo dal Lost Lake Cafè & Lounge per essersi rifiutato, dopo pressante invito da parte del proprietario, di togliersi il futuristico gadget dagli occhi e disattivarne le funzioni.
Chiara la protesta del gestore del famoso locale, sulla cui pagina Facebook è poco dopo apparsa la seguente dichiarazione: “Abbiamo dovuto chiedere a un cliente molto sgarbato di uscire e allontanarsi dal nostro locale a causa della sua insistenza a indossare e ad attivare i Google Glass all’interno del ristorante. Con questo strumento, infatti, riteniamo che sia molto facile finire per fotografare o filmare altre persone senza il loro permesso. Se qualcun altro si presenterà dotato del gadget, saremo costretti ad allontanarlo immediatamente. E non iniziate con la storia trita e ritrita dei vostri diritti”. Già. Perché questa in fondo è la questione che nasce di fronte a strumenti come gli occhiali magici di Google. Dove finisce la libertà di una persona e comincia quella di un’altra? Come si stabiliscono e si decidono i confini? Nick Starr, e tutta la squadra di Big G, hanno gioco facile a difendersi sostenendo che tutte le normative per la sicurezza degli utenti sono rispettate, come per esempio il divieto, immediatamente ufficializzato, di scaricare e utilizzare applicazioni che si basino sul riconoscimento facciale. Ma possiamo mai fidarci della buona fede di una promessa? Soprattutto, riuscirà il colosso di Mountain View a spuntarla con un osso duro come il Garante della Privacy europeo?