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Arabia Saudita, quando il blog costa 600 frustate

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Niente sconti per chi si oppone al controllo dei Governi, anche quando si tratta della Rete. Nell’era di Internet la questione della libertà di espressione non manca di sollevare polemiche, soprattutto quando la parola entra in conflitto con la sicurezza statale.

Il confine che corre tra il diritto di espressione e la tutela della sicurezza, o della presunta tale, si fa sempre più labile sul terreno del web. Lo sa bene Rif Badawi, attivista e blogger che in Arabia Saudita è stato condannato a sette anni di carcere e a 600 frustate per aver divulgato messaggi ritenuti dal governo dannosi per la sicurezza del Paese. Una sentenza durissima alla quale si stanno opponendo non solo i seguaci attivisti, ma che ha attirato anche l’attenzione dei responsabili dell’Amnesty International. “Una condanna ingiusta, che rappresenta un grave attacco alla libertà di espressione”, hanno commentato i vertici dell’organizzazione. Secondo il tribunale di Jeddah, infatti, Badawi avrebbe insultato i sacri principi dell’Islam divulgando tramite commenti televisivi e attraverso il suo sito “Free Saudi Liberals” messaggi di dissenso contro il Governo saudita. Scampata per un pelo la pena di morte, l’attivista dovrà scontare sette anni di prigionia, condanna alla quale si aggiunge l’esilio in Libano dei propri familiari. E cosi, sostenere l’uguaglianza fra tutte le religioni del mondo attraverso uno strumento per sua stessa definizione libero come la Rete è costato a Badawi molto più di una reclusione.

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