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Datagate, gli Usa contro se stessi

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La posta in gioco è troppo alta.

Così, a tre mesi dalle rivelazioni choc di Edward Snowden sullo scandalo Datagate, le multinazionali americane dell’It prendono le distanze dal vecchio alleato e decidono di muovere causa al Governo americano. Nel centro del mirino, ovviamente l’Nsa, ora dipinta dai big informatici come una sorta di ricattatore occulto che nel corso degli anni avrebbe obbligato i vertici delle società a fornire tutti i dati richiesti sugli utenti.

La prima a muoversi è stata Google, già alle prese con le accuse di abuso di posizione dominante al di qua e al di là dell’Atlantico e non certo bisognosa di ulteriori danni alla propria immagine: lancerà una mozione all’esecutivo affinché il pubblico sappia quali e quante sono state le richieste di accesso ai database da parte dell’agenzia di spionaggio. Seguono a ruota Microsoft, Facebook e Apple, con la Mela che, a poche ore dal lancio del rivoluzionario Iphone 5s scopre che anche i suoi sistemi di sicurezza sono stati aggirati: i tecnici Nsa sfruttavano un baco di iOs e in particolare le funzioni connesse al Gps per tracciare i movimenti degli utenti.

Al di là della retorica (il Terrorist Finance Tracking Program della Commissione Ue già minaccia la sospensione della condivisione dei dati con i colleghi americani) la questione è però concreta. Più di quanto si pensi. Dati Bloomberg stimano infatti che il danno delle rivelazioni di Snowden per le commesse delle aziende americane all’estero potrebbe superare i 100 milioni di dollari. Meglio, allora, correre ai ripari e salvare la faccia. Ma la minaccia non erano i cinesi di Huawei?

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